La xilografia è citata sia da Vasari (1568) che da Ridolfi (1648). Mariette riteneva che Tiziano avesse disegnato direttamente sulla matrice.
La stampa secondo Muraro e Rosand risale alla fine del terzo decennio, come dimostrerebbero le connessioni con la pala di San Pietro Martire un tempo nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, commissionata nel 1526 e consegnata nel 1530. L’ammiratissima pala andò distrutta in un incendio nel 1857, ma è nota grazie a copie dipinte e incise. In ambedue le opere, il dipinto e la stampa, la scena si svolge in un paesaggio boscoso folgorato dalla presenza divina, dove i personaggi e la natura partecipano con medesima intensità all’azione drammatica. Il paesaggio è più palpitante e più efficace nella resa dei valori tonali rispetto a quello della xilografia con San Girolamo in meditazione (ALU.0189.1). L’invenzione che caratterizza l’immagine è soprattutto quella originale dei frati francescani raffigurati di spalle, nell’instabilità conseguente alla visione del Crocifisso avvolto nella luce, con un’inquadratura modernissima quasi da istantanea fotografica. Il cervo accovacciato sullo sfondo, come quello che corre nella xilografia con san Girolamo, non sembra essere un’idea del cadorino, ma piuttosto derivare da un libro di modelli che possedeva l’intagliatore.
L’intaglio della stampa fu per la prima volta attribuito a Boldrini da Baseggio e, come per altre sue stampe, alcuni studiosi – Oberhuber in primis e poi Landau – hanno preferito assegnarlo al Britto (per un resoconto delle attribuzioni, Chiari 1982, p.34). Secondo Landau (Landau 1983), inoltre, il carattere “germanico” del paesaggio, posticiperebbe la datazione della stampa intorno al 1550, dopo il ritorno di Tiziano da Augsburg. Lo studioso inoltre segnala le affinità tra la figura del san Francesco della stampa e uno degli apostoli nella tela di Tiziano con la Pentecoste della chiesa di Santa Maria della Salute a Venezia, databile 1544.
La New York Public Library custodisce una copia della xilografia. El Greco si ispirò a questa xilografia in due tavolette conservate all’Accademia di Carrara a Bergamo e al Museo di Capodimonte a Napoli.
Questa xilografia apparteneva alla collezione privata della famiglia Remondini, che comprende 8522 stampe, donate da Giovanni Battista Remondini al Museo Civico di Bassano nel 1849. Come ricostruito da Fernando Rigon la collezione risultava già completa in un inventario manoscritto del 1827, divisa in 79 cartelle per scuola ed epoca, nell'ordine mantenuto fino ad oggi. Rigon riferisce che "trae origine nell'ultimo trentennio del sec. XVIII dal concorso di due distinte raccolte: ad un primo nucleo comprendente incisioni italiane, fiamminghe, francesi, che poco prima del 1777 il conte Antonio Remondini aveva acquistato da un non meglio identificato "celebre uomo di gusto fino e sicuro" si venne ad aggiungere, verso il 1794, la collezione di esemplari italiani e stranieri messa insieme a Venezia dal pittore e incisore don Bernardo Ziliotti. Questi già cospicui gruppi furono poi incrementati e spesso completati per settori e scuole di quanto gli stessi Remondini, favoriti dalla loro attività calcografica, erano andati e andavano raccogliendo per scambi e acquisti" (Rigon F. in Nicolaes Berchem, incisore e inventore 1620 - 1683, stampe dalla Collezione Remondini 1981, p.7). Quasi tutte le stampe sono rifilate lungo i bordi e incollate a grandi fogli di cartoncino grigio-azzurro (76x54 cm ca.).
Per l'elenco degli esemplari noti, si veda ALU.0190.1.