NOTIZIE STORICO-CRITICHE
L'opera in questione è una delle xilografie con cui Jacopo Rubieri - impiegato forense di origini parmensi, nato intorno al 1430 e morto dopo il 1487, a lungo residente tra il Veneto, l'Istria e la Dalmazia - decorava i codici sui quali ricopiava i testi giuridici e i processi oggetto del suo lavoro. Parte dei suoi libri furono acquistati all'inizio del Settecento sul mercato antiquario da Pietro Canneti, fondatore della Biblioteca Classense di Ravenna: si tratta degli attuali codici 98, 374, 450, 485 (IV e V) all'interno dei quali sono state rintracciate in tutto 48 incisioni, fra le più antiche xilografie italiane pervenuteci. La xilografia in questione in origine era incollata all'interno del codice 485. Fu rimossa in occasione del restauro del 1938 condotto alla Biblioteca Apostolica Vaticana.
Un gruppo di stampe della Classense può essere raggruppata per affinità di stile, per la presenza di una simile cornice mobile, per la colorazione comune della cornice tramite una sagoma, per le misure affini. Si tratta del Sant'Agostino che benedice Santa Monica e San Nicola da Tolentino (ALU.0076); del San Domenico con San Pietro martire e Santa Caterina da Siena (ALU.0077); del San Pietro martire (ALU.0078); del Crocifisso di San Pietro Martire (ALU.0075). Un dettaglio marginale, presente in due stampe su tre, conferma la loro origine comune: la capigliatura degli angeli è sempre ornata con un diadema a forma di triangolo (Saffrey, p. 289).
Lamberto Donati, in occasione del restauro delle xilografie di Rubieri, ha indagato nel dettaglio le (piccole) varianti che le cornici presentano sia dal punto di vista della forma che da quello del colore. Inoltre ha messo in evidenza che questa serie dovette essere stampata in un buon numero di esemplari visto che furono prodotte delle sagome per applicare i colori. Questo procedimento -tramite il quale venivano ritagliati dei cartoncini (o materiali simili) in modo che, appoggiandoli alla stampa, restavano scoperte le zone da colorare con un pennello o uno spazzolino (Donati, p. 9)- era utilizzato già nelle più antiche stampe italiane pervenuteci, come la Trinità e Santi nell'Archivio Storico Comunale di Ravenna (ALU.0058).
Questo gruppo di xilografie, di qualità non eccelsa, fu indubbiamente prodotto nella stessa bottega. Tre soggetti su quattro riguardano santi domenicani e possiamo ipotizzare l'esistenza di un atelier veneziano interno al convento di San Giovanni e Paolo, dove si producevano xilografie anche per le confraternite laiche affiliate oltre che per i singoli fedeli (Saffrey, p. 259) da cui provengono anche le stampe in questione. In questo gruppo spicca per qualità il Crocifisso di San Pietro Martire (ALU.0075).
Nella stampa sono raffigurati inginocchiati ai piedi del Crocifisso, San Pietro martire (sulla destra, con doppio nimbo) e frate Domenico (non ancora canonizzato, con il nimbo raggiato) che condivise con lui il martirio. Entrambi furono uccisi nel bosco lombardo di Barlassina, in Lombardia, nel 1252. L'immagine rievoca un episodio della vita di Pietro, quando, spaventato dalle continue minacce, viene consolato dal Crocifisso parlante. Il miracolo era avvenuto a Jesi e Pietro volle che il Crocifisso fosse trasportato a Venezia. Ma la nave su cui viaggiava naufragò in prossimità di Chioggia e fu ricoverato nella chiesa di San Domenico, dove tutt'ora è conservato un Cristo di fattura tedesca che, forse inconsapevolmente, porta su di se questa storia. In secondo piano sulla destra, tre alberelli che evocano il bosco del martirio e sulla sinistra una chiesa col campanile. San Pietro Martire (o San Domenico) compare anche -piccolo e a mezzo busto - sopra la croce mentre sta per essere incoronato da Dio, da un confratello e da una consorella domenicani: potevano fregiarsi delle tre corone, secondo il testo teologico di Fantin Dandolo vescovo di Padova (1445-1446, in Saffrey p. 253), solo i santi che erano stati contemporaneamente martiri, dottori e predicatori.
La stampa è incorniciata da sei decori a racemi rettangolari alternati a otto riquadri con un fiore: il tutto è racchiuso in una spessa linea nera.
Tracce di colore rosso, grigio scuro, giallo e rosa applicati a sagoma (Schizzerotto n. 34 ter).
Dal punto di vista stilistico alcuni passaggi indicano che il disegno sul quale si basò l'intagliatore doveva essere di una certa qualità e possiamo anche individuare un preciso contesto di influenza che agì sull'autore. Fra i passaggi migliori osserviamo l'elegante profilo proteso di frate Domenico, il disegno del corpo del Cristo scarnificato, l'elaborato panneggio che lo copre e la resa naturalistica degli alberi sullo sfondo, delle fronde e del tronco. L'autore doveva conoscere quel fatto epocale che per la storia della xilografia veneziana fu il libro tabellare dal titolo Passio N. D. Jesu Christi (ALU) che la critica fa risalire al terzo decennio del XV secolo e di cui fu responsabile il miniatore Cristoforo Cortese (che risultava già morto nel 1445). Si confrontino i particolari della nostra xilografia poc'anzi segnalati con i due fogli della Passio rappresentanti il Noli me tangere (per il disegno degli alberi) e la Discesa dalla Croce (per il Cristo). Nonostante il gusto tardogotico della Passio, il suo apprezzamento a Venezia era tale da far sì che alcuni fogli (decurtati del testo) furono ristampati nel 1487, probabilmente in anni posteriori all'esecuzione della xilografia con il Crocifisso di San Pietro Martire.
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