NOTIZIE STORICO-CRITICHE
L'opera in questione è una delle xilografie con cui Jacopo Rubieri - impiegato forense di origini parmensi, nato intorno al 1430 e morto dopo il 1487, a lungo residente tra il Veneto, l'Istria e la Dalmazia- decorava i codici sui quali ricopiava i testi giuridici e i processi oggetto del suo lavoro. Parte dei suoi libri furono acquistati all'inizio del Settecento sul mercato antiquario da Pietro Canneti, fondatore della Biblioteca Classense di Ravenna: si tratta degli attuali codici 98, 374, 450, 485 (IV e V) all'interno dei quali sono state rintracciate in tutto 48 incisioni, fra le più antiche xilografie italiane pervenuteci. La xilografia in questione era incollata nel codice 374.
Come di consueto, Rubieri ha fatto un cut & paste da una xilografia, in questo caso selezionando tre sagome e ricomponendole sulla pagina iniziale di uno dei trattati giuridici trascritti a mano nel codice 374: si tratta di In materia torturae et indiciorum di Dino de' Rossoni da Mugello, e la xilografia con il Martirio di Simonino ne costituisce il frontespizio illustrato.
E' questo uno dei rari casi, nei manoscritti Rubieri, in cui sembra esservi una relazione tra l'immagine – una scena di tortura – e l'argomento del testo con il quale essa è posta in relazione. Alcuni studiosi hanno suggerito che Rubieri con ciò intendesse solo illustrare il soggetto del trattato. Altri, come Areford, sostengono invece che la “xilografia del Simonino fosse per Rubieri un “argomento visivo” a sostegno della necessità della tortura. La morte di Simonino è offerta [al lettore] come l'esempio perfetto di crimine odioso che legittimava la tortura nel perseguimento della verità (…)” (Areford 2010, p. 190, trad. mia).
Il crimine di cui si parla è l'omicidio rituale del piccolo Simonino da Trento ad opera degli ebrei della città. Questi i fatti: Simon Lenferdorben, bambino di poco più di due anni, scompare la sera del 23 marzo del 1475. Il suo cadavere, orrendamente seviziato, viene ritrovato tre giorni dopo, la domenica di Pasqua, in un canale cittadino. Pur in assenza di prove positive, l'accusa ricade su alcuni esponenti delle famiglie ebraiche più in vista della città: essi avrebbero compiuto un sacrificio umano per poi servirsi del sangue del piccolo per impastare il pane azimo del rito di Seder (primo giorno della Pasqua ebraica).
L'accusa è ovviamente strumentale – Simonino scompare il giorno successivo alla festa di Seder – ma Samuele, il più influente tra gli ebrei sospettati, arrestato il 30 marzo, confessa sotto tortura e il 21 giugno è mandato al rogo. Gli altri imputati, tra i quali un tale Tobia, reo di aver strangolato il piccolo con un sudario, sono condannati alla decapitazione.
Nel settembre dello stesso anno, un libretto di 26 pagine corredato di 12 xilografie – Geschichte des zu Trient ermordeten Christenkindes (Munich, Bayerische Staatsbiliothek) – stampato a Trento in tedesco da Albrecht Kunne, fornisce la cronaca letteraria e il prototipo iconografico della morte di Simonino e del suo martirio (https://app.digitale-sammlungen.de/bookshelf/bsb00027835)).
Benché l'autore del testo rimanga anonimo, il pamphlet si ritiene ispirato al resoconto che della vicenda aveva fatto Giovanni Maria Tiberino – autore dell'autopsia del piccolo cadavere e medico personale del vescovo principe Giovanni IV Hindrebach, promotore della feroce campagna antisemita che seguì il ritrovamento – stampato in ben 16 edizioni (in latino, tedesco e italiano) tra il 1475 e il 1476.
Il culto popolare del piccolo martire si diffonde soprattutto grazie alla circolazione di immagini su fogli sciolti, che raggiungono un pubblico più ampio di quello istruito che sa leggere e scrivere. E, insieme al culto, i fogli alimentano una cruenta caccia all'ebreo che induce prima Sisto IV (10 ottobre 1475) poi il doge Pietro Mocenigo (5 novembre 1475) a proibire la produzione e la vendita di immagini del Beato.
Rispetto al tipo iconografico stabilito nel Geschichte, il nostro foglio, presumibilmente eseguito nella regione trentina tra il 1475 e il 1478 e stampato “alla macchia” (Schizzerotto 1971, n. 22, tav. XXIII), offre una visione più violenta ed esplicita dell'omicidio (per un confronto tra i due fogli, cfr. Areford 2010, p. 190, fig. 84).
Al centro della pagina, in piedi, sta il piccolo Simonino, con la testa raggiata del beato, le braccia aperte e gli occhi chiusi come fosse già morto. E' legato a una panca di legno appoggiata in verticale, che allude, insieme al coltello e alla tenaglia – i due ritagli singoli, incollati sopra al gruppo principale – al martirio di Cristo. Intorno a lui, ai lati della panca, quattro ebrei (tra cui una donna), due per lato, lo torturano con aghi e spilloni, colpendolo al volto, ai genitali, alle gambe. Il sangue scorre copioso sul corpo del fanciullo, dal torace fino ai piedi. Un ebreo inginocchiato lo raccoglie in una scodella, così evidenziando in modo esplicito la finalità rituale dell'omicidio. Con tratto sintetico molto efficace, l'autore rende la fisionomia degli aguzzini, con i grandi nasi e i caratteristici copricapi, questi ultimi segni di ricchezza e vanità, come aveva predicato Bernardino da Siena nelle piazze delle città del Nord (Bellini 1987, n. 46, p. 128).
Il piccolo sudario intorno al collo del bambino ne evoca lo strangolamento.
Come richiamato in apertura, Areford giunge ad ipotizzare che le corde intorno ai polsi e alle caviglie di Simonino, nonché la posizione delle braccia e del corpo intero, che sembra sospeso come chi sia soggetto alla strappada, fossero recepite dai contemporanei come riferimento alla tortura giudiziaria e alla sua legittimità (Areford 2010, p. 190).
Tracce di rosso minio, giallo, verde grigio, marrone rosato, grigio scuro applicati con la sagoma (Schizzerotto 1971, n. 22, tav. XXIII).
La didascalia di mano del Rubieri in lettere gotiche “Beatus Simon” si trova ancora sul foglio del codice sul quale l'incisione era originariamente incollata, essendo scritta direttamente sul foglio intero e non contenuta in un cartellino.
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