Della veduta a volo d’uccello di Venezia attribuita a Jacopo de’ Barbari rimangono tre stati. I primi due -oggetto rispettivamente delle schede ALU.0100.1 e ALU.0100.2 - risalgono al 1500 e al 1514. Il terzo, a un’epoca imprecisata posteriore al 1514 (ALU.0100.3). Il Museo Correr di Venezia conserva le sei matrici xilografiche della veduta prospettica di Venezia intagliate tra il 1497 e il 1500, con modifiche posteriori (ALU.0100-M). Il primo stato è caratterizzato dalla presenza della data MD dal ‘campanile di San Marco con un tetto a padiglione di tavole e tegole, una struttura provvisoria che fu collocata in conseguenza dei danni subiti a seguito del fulmine che si era abbattuto nel 1489’ (Biadene in A volo d’uccello, cat. della mostra, Venezia 1999, p. 137), ovvero della ‘cella campanaria medievale a quattro finestre, loggetta e copertura ribassata a quattro falde’ (Pignatti 1964, p.37) Gli esemplari del primo stato sopravvissuti, secondo il repertorio stilato da Pignatti, sono conservati presso le seguenti istituzioni: Amburgo, Kunsthalle; Boston, Museum of Fine Arts; Cleveland, Museum of Arts; Londra, British Museum; Norimberga, Germanisches Nationalmuseum; Parigi, Bibliothèque Nationale (n. inv. RESERVE AA-6 (BARBARI, Jacopo de'); https://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb45056929v); Minneapolis Institute of Arts (già collezione Victor Massena principe d'Essling); Venezia, Fondazione Querini Stampalia; Venezia, Museo Correr (3 esemplari); Venezia, Museo Navale. A quest'elenco va aggiunto un esemplare conservato a Berlino, Staatliche Museen (ALU.0100.4). All’epoca della sua realizzazione, la straordinariamente dettagliata veduta di Venezia era un’opera di una qualità senza precedenti. La città è riprodotta da un punto di osservazione alto,‘a volo d’uccello’: in primo piano la zona a sud con la Giudecca e l’Isola di San Giorgio mentre nella parte superiore della mappa, sullo sfondo, si vede il profilo delle Prealpi e l’iscrizione SERAVAL che indica il luogo di passaggio verso il Nord. La pianta è l’unica testimonianza visiva della città all’altezza di queste date: registra le architetture emblematiche di Venezia (il complesso marciano, le basiliche di San Giovanni e Paolo e dei Frari, il ponte di Rialto ancora in legno, la Zecca, nel luogo dove in seguito sorgerà la Libreria di Sansovino, il nuovo Arsenale, ecc.) e, per la precisione topografica, consente di individuare anche luoghi più privati ma non meno rappresentativi della Serenissima, come le sedi della stamperia di Aldo Manuzio (Callegari, p.179). I numi tutelari della stampa sono Mercurio e Nettuno. Il primo, che campeggia sulla sommità della veduta, promette, in un’iscrizione intorno alla nuvola che lo sorregge, gloria e buona fortuna alla più importante fra le città commerciali; Nettuno, a cavalcioni di un delfino nello specchio d’acqua di fronte e piazza San Marco, in un cartiglio appeso al tridente dichiara la sua protezione al porto di Venezia. A meno di un anno dalla terribile sconfitta nella battaglia di Lepanto, quindi, Venezia riafferma il suo potere e la sua vitalità (Landau 2016, p.116). Sui bordi della pianta sono raffigurati otto volti dei venti che soffiano. Ha stupito la scelta di raffigurare una città pressoché deserta – sono vuoti piazza san Marco, i campi, gli orti - dove la vita sembra concentrarsi sulle banchine e sulle imbarcazioni. L’invenzione e il disegno della pianta sono stati attribuiti a Jacopo de’ Barbari. Questa ipotesi si è affermata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, mentre in precedenza erano stati avanzati i nomi di Albrecht Dürer e Andrea Mantegna (Ferrari 2006, pp.150-154). Gli studiosi hanno individuato varie ricorrenze fra le mappa e altre opere sicure dell’artista. Innanzitutto la raffigurazione dei venti è stilisticamente coerente con altre immagini incise a bulino da Jacopo. La presenza del caduceo impugnato da Mercurio è stata interpretata come la ‘firma celata’ dell’artista, visto che egli utilizzava di sovente questo attributo per siglare le proprie opere. Inoltre fonti documentarie attestano che Jacopo era in rapporti con l’editore della veduta, Anton Kolb. Tecnicamente, sembra che la veduta sia stata eseguita assemblando e adattando (con opportune distorsioni) svariati disegni prospettici di de’ Barbari ricavati da postazioni sopraelevate della città. Dovette altresì consultare le mappe (o porzioni di mappe) di Venezia disegnate a quel tempo esistenti. Anton Kolb, mercante di Norimberga da tempo residente a Venezia, fu editore e committente della veduta prospettica. Presentò una supplica al Senato veneziano nell’ottobre del 1500 per ottenere l’esenzione dal pagamento del dazio di esportazione all’estero della veduta e l’esclusiva della pubblicazione. La vendita della stampa, che si poteva compare alla considerevole somma di tre fiorini e per la quale furono impiegati tre anni di lavoro, fu soggetta alla tassazione: in compenso Kolb ottenne l’esclusiva della pubblicazione per quattro anni. Probabilmente si tratta di uno di primi casi di copyright di cui un’opera di arte figurativa abbia beneficiato (Landau 2016, p.116). La concessione viene ufficializzata lo stesso giorno in cui fu presentata: vista l’importanza dell’opera, si era quindi discusso di questo caso già in precedenza. La veduta, al contempo utile e celebrativa, era probabilmente destinata ad essere esposta come grande decorazione da parete. Il successo di questa grande xilografia aprì la strada alla breve ma pregevolissima stagione della produzione veneziana di xilografie su grande scala, alla cui realizzazione collaborarono artisti del calibro di Tiziano.