Questa xilografia è la parte inferiore di una grande composizione intitolata ARBORO DI FRUTTI DELLA FORTUNA, ricavata da una delle matrici lignee conservate nel Fondo Soliani delle Gallerie Estensi di Modena (nn. inv. 6528 e 6529; ALU.0054-M). Questa impressione della stampa è precedente allo stato attuale delle matrici: è stata tirata quando i legni erano più integri e non erano ancora presenti falsificazioni. La Fortuna bendata, vestita solo da un drappo svolazzante come i suoi capelli, siede su un globo conficcato sulla cima di un albero frondoso. Nelle mani stringe due lunghi rastrelli con i quali fa cadere a caso i ‘frutti’ dolci e amari del destino, dei quali l’albero è carico. Ai piedi dell’albero un’umanità varia e scomposta accoglie i frutti distribuiti dalla Fortuna. Alcune scene paradossali – come un asino oppresso dal peso di un sacco di denaro e un re che incorona un prigioniero malconcio- evocano i mondi alla rovescia del carnevale. Sullo sfondo navi che veleggiano e affondano, città fiorenti e in fiamme. Il tipografo veneziano Francesco Vieceri (o Vicceri), nel XVII secolo, possedeva stampe con la stessa targa presente in questa xilografia che dovettero servire a Barelli da esempio. Uscì dalla bottega del Vieceri anche una tiratura tarda del grande Martirio dei diecimila martiri sul Monte Ararat (ALU.0201.1 - ALU.0201.2), la xilografia incisa da Lucantonio degli Uberti alla fine del secondo decennio, che poté forse rappresentare una fonte di ispirazione per l’inventore di questa stampa e la sua umanità brulicante intorno all’Albero della Fortuna. I contenuti stilistici e iconografici dell’opera dovrebbero collocarla cronologicamente entro la meta del Cinquecento. Qualche eco stilistico si rintraccia anche nel frontespizio su disegno di Baldassarre Peruzzi del libro divinatorio Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti, pubblicato a Venezia nel 1527, dove il papa è seduto sul mondo e l’astronomo sovrintende la scena. Questa xilografia apparteneva alla collezione privata della famiglia Remondini, che comprende 8522 stampe, donate da Giovanni Battista Remondini al Museo Civico di Bassano nel 1849. Come ricostruito da Fernando Rigon la collezione risultava già completa in un inventario manoscritto del 1827, divisa in 79 cartelle per scuola ed epoca, nell'ordine mantenuto fino ad oggi. Rigon riferisce che "trae origine nell'ultimo trentennio del sec. XVIII dal concorso di due distinte raccolte: ad un primo nucleo comprendente incisioni italiane, fiamminghe, francesi, che poco prima del 1777 il conte Antonio Remondini aveva acquistato da un non meglio identificato "celebre uomo di gusto fino e sicuro" si venne ad aggiungere, verso il 1794, la collezione di esemplari italiani e stranieri messa insieme a Venezia dal pittore e incisore don Bernardo Ziliotti. Questi già cospicui gruppi furono poi incrementati e spesso completati per settori e scuole di quanto gli stessi Remondini, favoriti dalla loro attività calcografica, erano andati e andavano raccogliendo per scambi e acquisti" (Rigon in Nicolaes Berchem, incisore e inventore 1620 – 1683. Stampe dalla Collezione Remondini 1981, p. 7). Quasi tutte le stampe sono rifilate lungo i bordi e incollate a grandi fogli di cartoncino grigio-azzurro (76x54 cm ca.). Sono noti tre stati di questa stampa, il primo privo di iscrizioni oltre a quella di titolazione, il secondo reca in basso a destra il monogramma apocrifo “1550 MG”, il terzo non presenta traccia di questo monogramma, ma in basso a sinistra l’iscrizione apocrifa “DOMINICUS CAMPAGNOLA MDXVII”. Quest’ultima iscrizione fu intagliata dal mercante di stampe milanese Pietro Barelli che nel XIX secolo, per alcuni anni, possedette le matrici (si veda ALU.0054-M). La stampa oggetto di questa scheda è un primo stato.
Per un elenco completo degli esemplari si veda ALU.0054.1.