La notte del 4 febbraio 1428 andò a fuoco la casa del maestro Lombardino Brusi da Ripetrosa a Forlì. Si salvò dal rogo una xilografia rappresentante la Madonna col Bambino e Santi che era inchiodata su un asse e appesa al muro. L’immagine fu ritenuta miracolosa e trasportata nella cattedrale cittadina. Un dipinto contemporaneo all’accaduto riassume le fasi salienti della vicenda. Giovanni di Pedrino, pittore dilettante e cronista cittadino, dipinse infatti Il miracolo della Madonna del Fuoco (lunetta, tempera su tavola cm 68x134) conservato ora nel vestibolo del Tesoro della Cattedrale. In basso è riportato il brano della Cronica di Giovanni Pedrino: “Como arse una caxa e romaxe per miracolo una carta depinta la qual fo veduta tutta la notte in mezzo al fuogo. Nel mese di febbraio 1428 di sovra una casa che fo del Tempesta apresso Luffo di Taldo abitada per sola da uno mastro Lombardino bruxò a dì 4 del ditto mexe la notte venendo la festa di sant’Agata e non ne rimase altro che le mura e una carta con alcuna figura e nostra Donna in mezzo e perché parve grande miracolo fo tolta dai Calonixe de Santa Croce e posta in Santa Croce con reverenzia e questa fa assai miracoli”. Al centro della xilografia, sotto un arco a tutto sesto sorretto da sottili colonnine tortili, Maria, che intuiamo seduta, avvolta in un mantello beige decorato a fiori bianchi, tiene in braccio Gesù Bambino. La Vergine, dal capo incoronato e nimbato, ha lo sguardo teneramente rivolto al figlio, al quale accenna un sorriso. Il Bambino si aggrappa con la mano sinistra allo scollo della veste della madre. Il volto della Vergine è affiancato a destra da un sole e a sinistra dalla luna. Nella parte superiore dell’arco è rappresentato, su una sorta di piattaforma volante di terreno delimitata da due alberelli, il Cristo dal corpo sanguinante crocefisso: Maddalena è inginocchiata ai piedi della Croce mentre ai due lati stanno, eretti, la Madonna e san Giovanni Evangelista. Agli estremi superiori della xilografia l’Annunciazione. Ai lati della Vergine e del Bambino sono raffigurate entro nicchie quattro coppie di piccoli santi a figura intera: San Girolamo e San Giovanni Battista, San Nicola e San Lorenzo, San Cristoforo e Sant’Antonio Abate, San Paolo (o San Giorgio) e San Francesco. In basso, una sorta di predella che occupa tutta la larghezza della xilografia con una serie di santi affiancati a mezzobusto. Il cattivo stato di conservazione non ne permette una sicura identificazione. Secondo una ricostruzione delle parti mancanti, forse in origine si trattava dei dodici Apostoli a figura intera e al centro la Madonna in trono affiancata da Santa Dorotea (con il caratteristico cesto di frutti e fiori). La xilografia richiama, nell’organizzazione dei soggetti raffigurati, i tabernacoli medievali a forma di trittico destinati alla devozione privata dove la Madonna e il Bambino, al centro, sono affiancati da due ante dipinte con teorie di santi o storie cristologiche. Lisa Pon, come esempio di confronto, ha segnalato la Madonna col Bambino, Lamentazione e Santi di fine Trecento, dipinta a tempera e foglia d’oro su tavola conservata a Venezia al Museo Correr, che, a ulteriore similitudine con l’opera oggetto di questa scheda presenta, in basso, una serie isocefala di santi. Gli studiosi - a partire da Lionello Venturi, il primo che dedicò all’opera, nel 1903, un’indagine storico-artistica-, hanno notato la disparità stilistica tra la parte centrale con la Madonna e il Bambino e i più aggiornati santi nel bordo. Lo studioso modenese ipotizzò che l’arcaicità delle figure centrali fosse motivata dall’esistenza di un’icona preesistente alla quale l’artista dovette attenersi o, in alternativa, dal fatto che l’artista fosse un miniaturista, più a suo agio nel delineare le piccole figure dei santi rispetto al gruppo centrale di maggiori dimensioni. Fiora Bellini, molti anni dopo, aggiunge l’ipotesi che lo xilografo, per la Madonna col Bambino e per i santi, abbia avuto a disposizione disegni di due artisti differenti: su suggerimento di Andrea De Marchi, Bellini data l’invenzione della parte centrale con la Madonna e il Bambino agli ultimi decenni del XIV secolo, ascrivendola al contesto stilistico di Jacopo di Paolo, attivo a Bologna tra il 1370 e il 1429. Sergio Fabbri attribuisce poi l’opera a Michele di Matteo, confermando il riferimento al contesto bolognese e alle maestranze attive nel cantiere di San Petronio. Jacopo di Paolo -al quale il disegno della Madonna è stato attribuito da Bellini su suggerimento di De Marchi-, fu maestro di Michele di Matteo con il quale era altresì imparentato: “il tic degli occhi a mandorla con il raddoppio delle palpebre” (Lollini) è una costante nel catalogo di Michele di Matteo e tratto in comune con la Madonna del Fuoco. Non sono conosciuti altri esemplari della xilografia in questione ma esiste una variante conservata in stato frammentario all'Archivio di Stato di Siena (ALU.0374).