Sono sopravvissuti tre stati del Trionfo di Cesare e dovrebbero essere tutti eseguiti entro cinque o sei anni dalla prima edizione del 1504 (Armstrong 2008, p.54). Essi si trovano, rispettivamente a:
primo stato: Parigi, BNF, ALU.0151.1
secondo stato: Berlino, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett, ALU.0151.2
terzo stato: New York, MET, ALU.0151.3
stato non rilevabile: Londra, British Museum, ALU.0151.4.
Oggetto di questa scheda sono 3 fogli sciolti del Trionfo di Cesare conservati al British Museum (ALU.0151.4): inv. 1860.0414.148.1-3 (corrispondenti ai fogli D, B, K nell'edizione dove sono presenti le lettere) e inv. 1904,0714.1, una impressione tarda e di minore qualità, stampata quando il blocco di legno era già usurato. Dal momento che il criterio per distinguere gli stati è la presenza delle iscrizioni, che in questi esemplari del British sono assenti, per ora non si può stabilire a quali stati essi appartengano.
A Venezia il 30 marzo 1504 fu concesso al miniatore e editore Benedetto Bordon un privilegio di stampa (pubblicato da Fulin nel 1882) della durata di dieci anni per un fregio che aveva disegnato costituito da una serie xilografie rappresentanti ‘il corteo trionfale che accompagna Cesare al Colosseo’ (Callegari 2016, p.230): “Benedetto Bordon, miniador, citadin paduano… cum sit che, cum gravissima fatica sua e non mediocre spesa, se habi inzegnato a stampare i disegni del triumpho de Cesaro, designando quelli prima sopra le tavole, dove ha posto et consumato uno grandissimo spacio de tempo, cum dispendio et incommodo de la poca facultà sua: et deinde ha fatto intagliar quelli in ditto legname; ne la qual opera ha exbursato bona quantità de denari; per venir al fine de la quale ha convenuto, oltra la fatica habuta per tal inventione notabile, lassare molti suoi emolumenti et utilitade che in dies li occorrevano…”. Le xilografie possono essere identificate con quelle che l’intagliatore di origine alsaziana (ma residente a Venezia) Jacobus Argentoratensis (Jacopo da Strasburgo) aveva ultimato qualche giorno prima, il 13 febbraio, come si evince da un’iscrizione presente nel foglio F del primo stato della serie, quello che rappresenta tre tori sacrificali e tre elefanti che trasportano ognuno una torre merlata e armata “Manibus propriis hoc Praeclarum Opus in lucem prodire fecit, Jacobus Argentoratensis/ Germanus Arcetypus solertissimus. Anno virginei partus M.D.III. idibus februa/riis sub hemisphaerio Veneto finem imposuit”.
La serie inizia, secondo l’ordine concepito dagli autori, con un’immagine del Colosseo di fronte al quale sta un trombettiere. L’edificio è identificato dall’iscrizione COLISEO ROMANO, in lettere capitali romane. Questa xilografia è priva della lettera alfabetica che, dalla xilografia seguente, scandisce l’ordine della serie. La sequenza di lettere che contraddistingue le xilografie (A-L) manifesta la volontà di rendere chiaro l’ordine di successione (e lettura) delle immagini che sono concepite come un fregio continuo (della lunghezza approssimativa di cinque metri) e non come scene indipendenti. I partecipanti al corteo camminano o cavalcano lungo uno stretto percorso sassoso, definito da una lunga linea continua: si contano le figure di 109 adulti, 8 bambini, 10 cavalli, 3 elefanti e 5 cani. Sebbene le singole composizioni siano abbastanza affollate, le figure si dispongono con ordine per lo più in fila per due e quando compaiono animali, per tre. Sul foglio A, trombettieri in abiti militari suonano trombe diritte e ricurve: due di questi ricompaiono nel foglio B, la cui immagine principale è quella di un carro carico di trofei guidato da una coppia di cavalli. Dietro al carro, un soldato regge il modellino tridimensionale di una città conquistata. Altri soldati, con analoghi modellini, seguono nel foglio C, mentre altri ancora trasportano le statue di Cerere, Venere e Mercurio, parte del bottino di guerra. Nel foglio D sfilano portatori di stendardi, raffiguranti le immagini delle città vinte, seguiti da portatori di insegne. Il bottino di guerra è raffigurato nel foglio E; le monete sono trasportate su barelle e i vasi sono portati a braccio, in alto, così come sono innalzate al vincitore grandi corone di alloro. Nel foglio F alcuni fanti conducono il toro sacrificale, seguito da tre elefanti da guerra montati da torri merlate o “castelli”. La parte posteriore di uno degli elefanti continua nel foglio G. Dietro gli elefanti vengono i prigionieri (foglio G), derisi da un buffone. Nel foglio H, due suonatori di flauto nudi precedono il prodigioso cavallo di Cesare, rappresentato come un unicorno e con dita umane al posto degli zoccoli, secondo quanto scrisse Svetonio. Il corteo continua con i littori che portano fasci, un altro buffone, musicisti e due cavalli (foglio I). Le bardature dei cavalli continuano nel foglio K, dove Cesare guida un magnifico carro, accompagnato da un gruppo di donne, civili e soldati con ramoscelli di alloro. Infine, nel foglio L, la processione si conclude con un gruppo di soldati a cavallo che portano rami di alloro. Come ha notato Massing, la prima xilografia, con il Colosseo, e la nona, con il cavallo di Cesare, non sono in armonia con il resto della serie essendo fuori scala: la serie fu dunque forse concepita senza questi due fogli che vennero aggiunti in un secondo momento (o erano destinati ad un altro progetto). La ‘narrazione’ del Trionfo segue la descrizione di Appiano dell’ingresso trionfale di Scipione a Roma (Historia Romana, Libro VIII, edizioni veneziane stampate nel 1477 e nel 1500). Inevitabilmente, gli autori tralasciarono alcuni dettagli della processione di Scipione, che celebrava la fine della Seconda Guerra Punica, e aggiunsero alcuni riferimenti specifici a Cesare. Tra i littori, per esempio, due trombettieri nudi introducono il cavallo di Cesare, adornato –stranamente- come un unicorno: come ricordava Svetonio, “aveva gli zoccoli divisi in modo da ricordare le dita dei piedi” (Massing 1990, p.5). Il Colosseo della tavola A è un ovvio anacronismo: iniziato sotto Vespasiano e ultimato sotto Tito, fu inaugurato nell’ 80 d. C.
Dal punto di vista stilistico e iconografico, Benedetto Bordon e Jacobus da Strasburgo dimostrano di conoscere i Trionfi di Cesare di Andrea Mantegna. Del resto già il soggiorno padovano di Mantegna, ancor prima della grande impresa mantovana, aveva dischiuso agli artisti veneti – e in primis patavini, come Bordon-, l’armamentario di forme e contenuti all’antica dispiegati in questo fregio xilografico (e in altre opere di Benedetto e Jacobus). Ma è soprattutto con i Trionfi di Hampton Court che il fregio veneziano deve fare i conti. A partire da Martindale, sono state evidenziate le citazioni più o meno letterali dalle tele di Mantegna, e anzi, secondo Lilian Armstrong “the multiplicity of parallel details may indicate that the designer knew the entire series, not just the images circulated by late-fifteenth-century engravings and drawings” (Armstrong 2008, p. 56). La conoscenza del ciclo poté essere diretta o, più facilmente, mediata grazie alle trascrizioni grafiche di artisti come Giulio Campagnola, che, secondo Pomponio Gaurico, aveva copiato il Trionfo di Cesare mantovano. Dal punto di vista della tecnica e della resa dell’intaglio del legno, questo fregio è inoltre opera emblematica dello stile ombreggiato, “così definito in virtù del tratteggio a linee parallele che definisce il volume delle figure” (Callegari 2016, p.230).
Altri fogli di impressione moderna si trovano a:
Milano, Biblioteca Ambrosiana. Si tratta di: foglio F, inv. 11893 (fanti che conducono toro sacrificale, seguito da tre elefanti da guerra); foglio I, inv. 11894 (littori che portano i fasci, musicisti e due cavalli).
Bergamo, Accademia Carrara: https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03119/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03121/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03115/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03284/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03116/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03120/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03117/; https://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/C0060-03118/.